Il Miracolo Economico delle Case di Riposo e delle RSA
Dagli inizi degli anni novanta, in Italia si fa strada per la prima volta la necessità seria e definita, di approntare delle soluzioni che fossero ottimali per l’assistenza alla popolazione anziana, che per la prima volta sembrava aumentare considerevolmente. L’innovazione tecnologica e farmacologica, unita ad un sistema sanitario nazionale più efficiente e qualitativo, portarono l’età media del paese ad aumentare e sopratutto sperimentare un incremento notevole dell’aspettativa di vita.
Le prime linee guida di questa categoria sanitaria si ebbero nel 1994 con il rilascio delle Prospettive Sanitarie n106, di aprile-giugno 1994 L’allora Ministro della Salute, Maria Pia Garavaglia, richiamando le normative vigenti e presistenti quali D.Lgs502/92, 517/93 e Piano Nazionale Sanitario del triennio 1994-1996, decide di tentare un approccio che desse uniformità assistenziale. Effettivamente, il nostro Sistema Sanitario, essendo basato sul concetto di regionalizzazione, presentava, e tuttora presenta, grande difformità tra regioni. Nel tentativo di dare un unico e comune approccio organizzativo per la gestione di questa rete assistenziale in piena esplosione, gli anni novanta diventano periodo cruciale. Il tentativo, per quanto ben apprezzato, rimane solo un indicazione generale in mano alle Regioni. Quest’ultime, conservano comunque il diritto alle proprie autonomie in materia di Sistema Sanitario Regionale, e di conseguenza anche all’organizzazione della suddetta rete.
Case di Riposo ed RSA e strutture simili, iniziano a vivere un periodo d’oro nella fine degli anni 90. Questo boom di richiesta assistenziale, trasforma le identità delle città e dei paesi. Sempre più cooperative e SRL iniziano a rimodulare vecchi palazzi e ville storiche per coprire queste necessità assistenziali, creando da vecchi palazzoni abbandonati, residenze abitate da addirittura centinaia di pazienti. Fu visto da televisioni e giornali come un nuovo miracolo economico, in grado di far rinascere le nostre città. Peccato che la realtà fu poi ben diversa.
Questo miracolo economico è adatto a tutti, per chi ha meno cash esiste comunque l’opportunità di entrare nel business. Nel corso degli anni 2000 si vedono i primi nuovi piccoli imprenditori della sanità, prendere appartamenti sfitti nei palazzoni costruiti negli anni 70/80, rigenerandoli come comunità alloggio per anziani abbandonando sempre di più il business delle case famiglia, considerate troppo rischiose, dal lato giuridico-legale.
Una società che cambia
La richiesta è tanta, il popolo invecchia e c’è bisogno di dare assistenza a tutti quegli anziani, che un tempo vivevano la loro vecchiaia in casa, supportati dalle famiglie numerose della vecchia Italia e che ora invece rischierebbero di rimanere da soli e senza assistenza. La società è cambiata così radicalmente che la persona anziana, che richiede supporto non può essere più gestita in casa. Le nuove famiglie sono nuclei composti da tre, massimo quattro persone. Gli adulti sono chiamati entrambi a lavorare e i minori spesso affidati a babysitter o a centri per l’infanzia. Nella nuova società italiana, in casa durante il giorno non c’è nessuno. Più lentamente rispondono le zone rurali e quelle meridionali del paese, che, dovuto anche ad un ridotto costo della vita (e sopratutto per la mancanza di servizi), continuano ad avere in casa la figura della casalinga, affidata storicamente alla madre, ma che negli ultimi anni, a causa della crisi economica, sembra essere divenuta prerogativa anche dei padri.
Ecco che la risposta più veloce, ma certamente non economica, risulta la Residenza Socio-Assistenziale, la Casa di Riposo o le Comunità alloggio per anziani. Con rette di 3000/4000€ a persona e con la certezza, o forse speranza, di garantire il massimo della qualità di assistenza, si inizia a segregare in queste residenze, spesso sovraffollate, i nostri padri, le nostre madri e i nostri nonni.
L’origine del problema
Questi agglomerati di anziani, che offrono assistenza alberghiera, assistenza medico-infermieristica e supporto fisioterapico divengono sempre più difficili da trovare. Le strutture migliori, convenzionate e di ottima qualità si ritrovano ad essere costantemente piene, con liste d’attesa lunghissime. In queste liste d’attesa iniziano a serpeggiare e confabulare le strutture meno qualitative, quelle che seguono i requisiti minimi (quindi assolutamente a norma di legge), ma che garantiscono un assistenza abbastanza povera al fragile anziano.
Nelle strutture che sono eccellenza, viene garantita una buona qualità di assistenza, con un sufficiente rate infermiere/pazienti e OSS/pazienti, si possono ritrovare fisioterapisti, educatrici e ampi spazi ricreativi sia all’interno che all’esterno. I pazienti a tutti gli effetti vivono la loro vita all’interno di queste strutture protette da personale preparato e pagato come da contratto nazionale.
Queste strutture, ormai una rarità, sono spesso quelle storiche e sono solitamente in convenzione con i sistemi regionali sanitari. Dietro queste strutture ci sono facinorosi del campo, con a disposizione un ampio margine di capitale, che può garantire una gestione più che sufficiente della struttura.
Ma come già introdotto, per queste case/ville esistono liste d’attesa quasi infinte. Le famiglie, che necessitano nell’immediato, di un posto letto per il proprio caro, si ritrovano a dover “accontentarsi” di quelle meno note e meno qualitative, consegnando i propri cari talvolta a dei perfetti sconosciuti.
Le residenze meno note (ma la cronaca ci insegna che queste problematiche esistono anche nelle più famose e ricercate) impostano l’intera attività lavorativa in piani di lavoro, non scritti, ma dettati dall'”esperienza” dei più anziani e sopratutto dalla gestione (dittatoriale e senza possibilità di replica) della figura del “responsabile”, un membro del team, che in una buona casistica è senza alcuno background medico o infermieristico.
Si arriva dunque all’origine del problema. La richiesta massiva di posti in RSA o Case di Riposo genera un offerta incontrollata da parte di responsabili, politici e facinorosi locali che aprono strutture, che come unico fine hanno quello di accapparrarsi le rette dei bisognosi. L’intera attività è basata solo ed esclusivamente sul garantire i requisiti minimi richiesti dal sistema regionale sanitario. Lavorare sul limite minimo di qualità ovviamente, fa si che quest’ultima oscilli costantemente raggiungendo anche livelli molto bassi di assistenza al lmite della legalità.
Il problema è sotto i nostri occhi da anni
Attualmente, sotto i riflettori, queste strutture (che si parli di RSA, Case di Riposo o affini) hanno dimostrato delle problematiche, che in realtà esistono, e vengono denunciate, da anni. La gestione delle residenze, sono talvolta in mano a non professionisti della salute, che includono nel loro organico infermieri o OSS. Questi “Capitalisti della Salute” frequentemente non hanno conoscenze sulla gestione sanitaria o socio-sanitaria della stessa, e si affidano a responsabili, che gestiscano personale e problematiche varie. Paradossalmente, esistono situazioni dove gli stessi responsabili, non hanno background medico o infermieristico.
Questa mancanza di rigidità nell’attenta selezione e gestione del problema, ha reso possibile la inadatta risposta sul lato sanitario-alberghiera di queste strutture, che all’arrivo di questa crisi internazionale, si è tramutata in un orrendo genocidio. Tutte le nazioni sembrano essere interessate, ma l’Italia ha, per ora, un triste primato. La giustizia, ha da poco iniziato ad indagare sulla situazione scatenante, sulla gestione di queste strutture e sul motivo per cui i piani di risk management abbiamo fallito sin dal momento di attivazione (laddove esistenti).
In alcuni articoli ho letto, di capi-struttura che consigliavano al personale sanitario, di non utilizzare le mascherine, per non “spaventare i degenti”, oppure membri dello staff vistosamente sintomatici, costretti a coprire il turno ugualmente. Altresì, a seguito di massivi decessi, e di fronte ad una situazione incontrollabile, alcune strutture, hanno richiesto al proprio personale, di ridurre le ore lavorative vista la carenza dei degenti o dei residenti , con un conseguente e programmato risparmio sugli stipendi dei lavoratori.
Da tutta Italia arrivano notizie tragiche. La situazione sembra persistere anche in alcune RSA o Case di Riposo. Gli operatori ricevono richieste da parte dei Responsabili, di prestare assistenza ai soggetti positivi senza i DPI necessari, e senza istituire un team dedicato per gli stessi. Al contrario, la “scarsità” di pazienti, si traduce in riduzione delle ore lavorative per gli operatori, perchè non più necessari.
Nel Meridione, La Pandemia ha colpito decisamente meno le popolazioni, ciò nonostante anche li abbiamo casi di stragi nelle Residenze. Una nota struttura, si è ritrovata ad avere l’iintero personale contagiato, lasciando gli ottanta degenti senza assistenza e supporto, per alcuni giorni. L’ASL locale, ha dovuto instituire un piano di emergenza per risolvere il problema il più rapidamente possibile, tentando di salvare la situazione. La Cooperativa che gestiva la struttura, ha potuto solo alzare le mani e richiedere aiuto. Secondo alcune indiscrezioni pubblicate su alcuni giornali, la situazione nella struttura era indescrivibile. Sebbene forse non fosse il caso della residenza sopracitata, non è insolito ritrovarsi a dibattere delle incredibili gestioni di queste strutture. Un unico infermiere per 80/90 pazienti e ad una manciata di OSS che in metodiche keynesiane devono prestare assistenza come in una catena di montaggio. I professionisti, senza lavoro (problema anch’esso noto nel meridione) accettano condizioni pietose contrattuali, svendendosi per uno stipendio, più indegno di quanto di già non lo sia a livello nazionale. La carenza sistematica di personale, approvato e accettato dalle normative esistenti, portano, in caso di emergenza, ad un innegabile e inevitabile disfatta assistenziale.
Eravamo già in piena emergenza
Dunque è essenzialmente chiaro che questa situazione ci ha portato a indirizzare il nostro sguardo su queste strutture, che d’un tratto, lamentano di essere in emergenza. Queste problematiche riportate, sono però solo la voce dei gestori delle stesse. I dipendenti, affermano costantemente da anni, la situazione emergenziale delle stesse. I professionisti della salute richiedono da anni una revisione di queste normative, ricevendo totale silenzio da politici, e da molti giornalisti. Solo di fronte alla possibilità di vendere qualche giornale in più e di conseguenza, di dover rispondere a questi attacchi, il problema è diventato meritevole di attenzione.
L’emergenza è nata quando non è stato considerato illegale, il rapporto un infermiere a 90 pazienti. Da quando in queste residenze, si è disumanizzato l’utente, affidandosi solo all’eventuale professionalità o empatia degli operatori, che nel poco tempo a disposizione, concesso per l’assistenza, hanno potuto dare conforto a queste persone, che continuo a sottolineare, sono i nostri nonni e i nostri padri e madri.
L’emergenza è iniziata quando abbiamo accettato che coloro che hanno formato questa nuova Italia, potessero essere rinchiusi in strutture, occasionalmente gestite da incompetenti in materia.
Alcune di queste strutture, nascondono da anni, problematiche serie, come la totale inadeguatezza della formazione degli operatori di fronte a situazioni del genere, la mancanza di risorse e DPI, la mancanza di un piano di Risk Management e la mancanza di attenzione nelle tematiche dell’Infection Control.
Ma il problema non si ferma solo a questi aspetti, le Residenze per Anziani e le RSA sono state spesso protagoniste nella cronaca nazionale, a causa delle ripetute denunce di maltrattamenti nei confronti degli anziani, da operatori, che spesso non erano infermieri e nemmeno in possesso di alcun titolo per prestare assistenza. Non è difficile trovare onine le decine di denunce da parte di famigliari nei confronti di strutture e operatori, problematica che parte dalla Brianza ed arriva fino in Sicilia.
Per non parlare del coinvolgimento della Mafia in queste strutture che si sono ritrovate ad essere soggetto di interesse, per via dei lauti guadagni che ne derivano. Nel Barese, a Monte Sant’Angelo fu nota la paradossale situazione di una cooperativa con infiltrazioni mafiose, ma che a causa della mancanza di posti per ricollocare i degenti è rimasta per molti mesi aperta ed operativa. Lo stesso nel Palermitano, dove la magistratura alcuni anni fa, scovò un interessamento da parte di Cosa Nostra a questo business così redditizio, e nella fattispecie, molti incontri di mafia, si erano proprio consumati all’interno di alcune Residenze per Anziani.
Inoltre, quello di cui vi racconto, è già noto agli oneri della cronaca dal 2013, dove si dichiaro che una struttura su quattro, veniva definita “Casa di Riposo Lager”, dall’Ansa e dal Secolo d’Italia, dopo una presentazione dei dati dei NAS, elaborati da Ansa per il Ministero della Salute. Su più di quattromila strutture controllate, più di mille non risultavano in regola per violazioni amministrative e anche penali.
La pandemia, dunque, gioca un ruolo marginale…
Al termine di questa analisi, spero sia chiaro, che la situazione è fuori controllo da anni. La pandemia attuale, per quanto gravissima in termini di vite umane, ha solo esacerbato delle problematiche ben più profonde e antiche, e che per anni sono passate inosservate.
Fonti:
- Link Corriere della Sera
- Link il Secolo di Italia
- Link La Nazione
- Link Il Cittadino di Monza e Brianza
- Link La Gazzetta del Mezzogioorno
- Link Meridio News