L’articolo 13 della Costituzione garantisce le libertà personali, ma per uso comune e per brutte abitudini, un paziente in preda a delirium o demenza viene considerato un problema che solo la contenzione può risolvere.
Per quanto capiamo le difficoltà degli operatori che si ritrovano a gestire reparti interi con sole due unità lavorative, non possiamo assolutamente girare lo sguardo da un problema che risulta molto grave.
L'”Abuso di Contenzione risulta essere un errore molto comune nei nostri ospedali che, a volte, tendono a coinvolgere anche persone che probabilmente non ne avrebbero bisogno.
Per Saperne di più vedi i nostri documenti sulla contenzione —- > LINK
LA STORIA
La prima legge in materia nata dal bisogno di regolamentare un fenomeno sempre più incontenibile, fu la num. 36 del 1904, intitolata “ Legge sui manicomi e sugli alienati ” seguita dalla num. 615 del 1909 “ Regolamento attuativo ”.
Nel 1968 con la legge num. 431 sull’assistenza psichiatrica si arriva ad una prima parziale revisione della legge del 1904: punti salienti di tale intervento legislativo erano l’abolizione dell’obbligo dell’iscrizione del paziente al Casellario Giudiziario, il riconoscimento della possibilità di ricovero volontario e l’istituzione dei centri di igiene mentale
Si giunge quindi alla riforma psichiatrica n. 180 del 1978, intitolata “ Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori ”, poi inserita all’interno della legge num. 833/78.
Il principio ispiratore diventa il fatto che il malato di mente ha gli stessi diritti degli altri pazienti e quindi non deve più essere curato in base alla pericolosità sociale con la custodia; la cura e il ricovero diventano una libera scelta della persona, solo in casi particolari si può intervenire contro la sua volontà tramite un trattamento sanitario obbligatorio definito un atto sanitario e non di controllo sociale.
Con la riforma psichiatrica del 1978 finalmente il malato di mente acquisisce gli stessi diritti degli altri pazienti. Da allora verrà trattato come un paziente e non più come un criminale. Si controlla anche il TSO in modo che esso diventi un fatto sporadico ed estremamente necessario.
Nonostante questa grande legge che scosse dalle fondamenta il principio di ricorrere alla contenzione, le grandi conquiste si realizzarono solo in campo psichiatrico. Tuttora, nei reparti di neurologia (e non solo) nelle residenze per Anziani e nelle geriatrie questo genere di pratiche sono ancora diffusissime.
Queste pratiche però adesso vengono celate da obiettivi di “protezione” e “prevenzione” al rischio di caduta, al vagabondaggio e alla pericolosità che un paziente può rappresentare per un altro. Quanto esposto dall’AILF però è chiaro:
In realtà si tratta di un intervento raramente appropriato nell’anziano a causa delle conseguenze su molte funzioni fisiche e psichiche, non più stimolate adeguatamente 3. Si riduce la massa e il tono muscolare, peggiora l’osteoporosi, si perdono progressivamente le funzioni di vita quotidiana, come alimentarsi, vestirsi, lavarsi.
A questo devono necessariamente aggiungersi le lesioni provocate da presidi inadeguati o nel tentativo di liberarsene.
Pesanti sono le conseguenze sul piano psicologico, anche se si tratta di pazienti confusi o dementi: dall’agitazione all’umiliazione, alla paura, all’apatia, alla deprivazione neuro-sensoriale.
Le cadute, motivo per cui viene usata la contenzione, spesso non diminuiscono e gli esiti sono più rovinosi. La mortalità nei pazienti sottoposti a contenzione pare sia maggiore, anche se è difficile quantificarla 4.
E’ bene qui ricordare che una prescrizione, per essere valida, dovrà essere preceduta dal consenso informato.
Solo in questo modo la contenzione assumerà dignità propria.
E’ chiaro, quindi, che la contenzione rimane una pratica illegale, laddove applicata senza il consenso del paziente.
Con riferimento a soggetti cognitivamente integri il medico avrà quindi il dovere di informarli al fine dell’acquisizione del consenso, tenendo conto di alcune peculiarità non potendo prescindere dal livello culturale e dalle capacità di comprensione del singolo individuo ed avendo quindi cura di usare un linguaggio semplice e accessibile (cfr. art. 30 Codice Deontologico medico).
Nel caso, invece, di soggetto dichiarato legalmente interdetto l’obbligo informativo andrà espletato nei confronti del tutore (cfr. art. 33 Codice Deontologico medico).
Spesso, però, nelle case protette, nelle residenze sanitarie assistenziali e nei centri diurni sono ospitati soggetti interessati da disturbi psicologici – comportamentali per i quali il trattamento d’urgenza degli stessi disturbi diventa quotidianità.
E’ evidente come per tali soggetti risulti arduo esprimere un consenso valido in quanto è difficile pensare ad un loro coinvolgimento nell’iter decisionale.
È anche vero, però, che la diagnosi di demenza non indica di per sé una perdita della competenza intesa come la capacità di comprendere una situazione e di prendere decisioni al riguardo.
Nelle prime fasi della malattia è infatti possibile che il paziente sia ancora in grado di valutare correttamente una situazione e prendere quindi decisioni al riguardo. Questo perché la competenza non è un concetto unitario: esistono molteplici abilità funzionali differenti, per cui il soggetto può non essere più in grado di guidare la macchina ma ancora in grado di esprimere il proprio consenso (ad esempio, per partecipare ad una sperimentazione medica).
In particolare, per quanto riguarda la responsabilità infermieristica , essendo la contenzione assimilabile a una pratica terapeutica, l’infermiere potrà contenere soltanto se esiste una prescrizione medica, rispondente alle seguenti regole:
• registrazione in cartella clinica con l’indicazione della:
• motivazione circostanziata;
• durata del trattamento o della sua rivalutazione previa verifica;
• tipo di contenzione e modalità da utilizzare (solo polsi, polsi e caviglie, ecc.).
Naturalmente possono verificarsi situazioni talmente urgenti da non consentire la possibilità di seguire la procedura sopra descritta o addirittura che il medico non sia presente fisicamente in reparto.
In questo caso, perché l’infermiere possa contenere il paziente dovrà sussistere, come già illustrato il cosiddetto stato di necessità.